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Bartolomeo Di Monaco
(15/05/2003) -
Voto: 5/5
La resistenza alla povertà opposta dai genitori del protagonista in modo insolito: “Non parlavamo napoletano. I genitori si difendevano dalla povertà e dall’ambiente con l’italiano”, è una sorta di estraniazione ben più complessa e devastante di un dolore fisico. Nonostante i tentativi del protagonista, che si addestra “da straniero”, si avverte subito che i suoi non sono occhi forestieri (e non lo saranno neppure quelli della madre), e che non si può sfuggire alla corposità di Napoli, se vi si è nati: “Conoscevo la febbre di sempre di quelli che non vogliono più essere poveri”, e la sua osservazione nasce dall’interno: “I bambini che ho sentito piangere da bambino, al di là del muro, per strada, avevano pianti di ferite, di colpi presi al volo, appena passavano vicino”, dai vicoli, dai sotterranei, dalle piazze accese di sole, dagli antri bui, dalle persone che si sono conosciute, come la vecchia domestica Filomena: “Vivemmo con persone amate senza saperlo, maltrattate senza accorgercene”, “partecipavo del dolore e del pericolo del mondo intorno dove cadevano colpi che nessuna bravura poteva contrastare” e soprattutto: “non ero testimone di tutto quel male e del mondo, ma responsabile.” Ci si avvale della forza dirompente e vivificatrice del ricordo, si osservano alcune foto, quella della madre, ed esse si animano subito del movimento della città, di rumori, persone, immagini e suoni vivi. De Luca è qui al suo primo romanzo, lo stile è lineare, e manca delle invenzioni stilistiche che verranno più tardi, ma non se ne sente affatto la mancanza, essendo attratti da una tessitura che ha nel passaggio dall’immobilità al movimento il suo punto di forza. Il ricordo nasce come assenza che si trasforma in vita. La foto che ritrae la madre ancora giovane, sui trent’anni (“È bello scendere in una fotografia”), mentre il protagonista ha toccato la sessantina, diventa, per questo, occasione di intensa sorgente di ricordi, segnati da un sentimento tenero e misurato, con espressioni che sono felici creazioni a sé, come queste
Melania
(04/11/1999) -
Voto: 5/5
E' una lettera accorata alla madre, un grido disperato che nasce da un cuore in parte rimasto bambino. Si tratta di un cammino a ritroso, fatto di piccoli passi, fatto di sensi di colpa, di silenzi che soffocano mille parole nell'anima triste. Si parla di un'infanzia senza domande e quindi senza risposte... Si tratta di uno sguardo al passato, come d'incanto reso immobile da una fotografia. Si tratta di uno splendido libro.
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