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Accabadora
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Barbara
(23/10/2012) -
Voto: 5/5
L'accabadora è l'ultima madre. È colei che, spinta dall'amore, accoglie le anime nell'ora estrema, porgendo loro una carezza e facendo proprio il loro ultimo sospiro. L'accabadora è una Tzia, un'anziana donna di un paesino sardo, dedito a tacciare o meno di moralità i suoi abitanti; quel paesino "le cui vie erano emerse dalle case stesse come scarti sartoriali, ritagli, scampoli sbilenchi, ritagliate una per una dagli spazi casualmente sopravvissuti al sorgere irregolare delle abitazioni". L'accabadora non è sola. L'altra grande protagonista del romanzo è Maria, la fill'e anima di Tzia Bonaria, la bambina "di troppo" di una famiglia con già troppe bocche intorno al tavolo; la creatura calma e taciturna che aspettava solo che qualcuno di accorgesse di lei. In questo libro, denso di Sardegna, di tradizioni tramandate, e di sacrificio, Michela Murgia affronta un tema sepolto ma sempre attuale: il potere o la colpa di poter decidere per qualcun altro. La scrittrice lo fa con una capacità narrativa che va oltre la semplice rappresentazione di una realtà, e si inserisce nella ben più complessa interiorità dei protagonisti. Accabadora è una storia complessa e semplice al tempo stesso, intessuta da insegnamenti, rimproveri e comprensione. Tzia Bonaria insegna, infatti, attraverso il suo lavoro, quanto sia evidente la necessità di avere un padre e una madre a ogni angolo della strada, che possano aiutarci anche in quei momenti in cui non sembra più necessario alcun aiuto. Maria, dal canto suo, imparerà a proprie spese come sia impossibile dire "no, io di quell'acqua non ne bevo", e affronterà il dolore e la crescita con mente scevra di ogni pregiudizio. Una lettura affascinante, dolce e amara, che trascina il lettore nella Sardegna degli anni '50, tra l'odore di terra e il profumo di mare.
bardamu
(06/10/2012) -
Voto: 1/5
Si parte alla grande con uno stile alla Grazia Deledda e una storia originalissima. Si prosegue bene per un metà libro. Poi lo scivolone con relativa caduta, e che caduta! Appiccicare una storia su un'altra senza alcuna ragione, per di più su un argomento scomodo come la pedofilia con irritante faciloneria e psicologismi da mille lire. Poi ricomincia la storia dell'inizio, per essere subito abbandonata e incartarsi di nuovo in un'altra storia campata per aria. Quale la ragione del grande successo? Non ne ho idea
Carla
(14/07/2012) -
Voto: 4/5
E' stata una bella sorpresa, che bella scrittura! Finalmente! La storia in sè non mi ha preso, tantomeno i personaggi, ma trovarmi di fronte una prosa così delicata e incisiva allo stesso tempo mi ha fatto tornare il piacere di leggere. Al contrario di molti, ho trovato più noiosetta la prima parte del libro, un pò pesantuccia direi; dopo, la scrittura si è fatta più fluida e le metafore azzecate in ogni istante hanno reso le mie ore piacevolissime. "Nell'ora della debolezza alcuni preferiscono diventare credenti piuttosto che forti", oppure "Bonaria si sporse ad abbracciarla senza stringerla, come un bozzolo di seta con un baco dentro", e ancora "Bonaria Urrau non fece mai l'errore di quelle banalità che si usano per ricordare agli ospiti che in casa propria non si trovano affatto. Si limitò ad aspettare ch gli spazi rimasti vuoti per anni prendessero gradualmnete la forma della bambina, e quando in capo a un mese le porte delle stanze erano state tutte aperte per rimanere tali, ebbe la sensazione di non aver sbagliato a lasciar fare alla casa". Queste e altre mille costellano le pagine del libro, e ditemi se è poco.
marianna
(19/06/2012) -
Voto: 5/5
libro interessante per l'argomento trattato, lo definirei 'ancestrale', termine che mi ripetevo nella mente durante la lettura..scrittura profonda a tratti poetica, da gustare.leggendo ho provato la sensazione di passare per le strade dei paesini della Sardegna.
Viola
(18/06/2012) -
Voto: 5/5
Mi è venuto il sorriso mentre leggevo gli penultimi commenti sotto di me....è un po' come chiamare bellissimo il gobbo di Nortre Damme....dai ragazzi; non si può dire che non si è scritto bene, almeno quello! Secondo me invece, è un libro con Cuore, con una storia degna di Marquez scritta al italiana maniera!Una lingua aspra e colorata, dei penarelli che rimangono insomma! Ma ormai sono sicura che vincere un Campiello porta con se in modo inevitabile, L'Invidia!Ma fattelo nascondere meglio, e che diamine!
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